Federico Calcagno, “Miglior Nuovo Talento Italiano” #topjazz
Federico Calcagno si aggiudica il Top Jazz 2020 come “Miglior Nuovo Talento Italiano”. Milanese, classe 1995, Federico ha studiato clarinetto classico, per poi avvicinarsi al Jazz. Approfondisce lo studio del clarinetto basso e l’esperienza musicale ed umana in Olanda diviene illuminante. Nel 2019 esce per la Emme Record Label “From another Planet”. A distanza di un anno collabora al progetto discografico di Francesca Remigi “Il Labirinto dei Topi” sempre prodotto dalla Emme Record Label. Ne abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere con lui, ascoltare un po di musica e congratularci per i premi ottenuti.
Un 2020 complicato per i musicisti e per la musica dal vivo si è rivelato un anno pieno di soddisfazioni per te Federico. Prima il Premio Nuova Generazione Jazz, e da poche ore il Top Jazz come Nuovo Talento. Quali le sensazioni e le emozioni che stai provando?
Senza dimenticarci anche il Premio Internazionale Giorgio Gaslini 2020, conferitomi da Franco d’Andrea lo scorso luglio. Sembra quasi un paradosso ottenere tutti questi riconoscimenti in un momento in cui la musica dal vivo è completamente morta, e non poter mostrare effettivamente la mia personalità in una situazione performativa, sul palco, davanti al pubblico. Certamente, si possono ascoltare sempre i miei dischi comodamente a casa, ma ciò non potrà mai sostituire l’esperienza di un concerto live nel quale i corpi degli ascoltatori sono messi in vibrazione dalle frequenze prodotte dagli strumenti musicali, e non da dispositivi digitali.
Ovviamente l’emozione è forte, suscita una gran voglia di restare in movimento con i progetti, senza fermarsi. Tuttavia oggi è un momento di rabbia e rassegnazione nei confronti della realtà del non potersi esibire e non poter vedere concretamente la luce di questo tunnel in cui siamo finiti.
Nonostante tutto, il mio entusiasmo non si spegne, e confessando un piccolo segreto non manca un po’ d’ansia di prestazione dopo aver ricevuto questi riconoscimenti, come non manca la voglia di mettersi in gioco, affrontare nuove avventure e creare nuova musica.
Talento, e tanto sacrificio per raggiungere questi traguardi così ambiziosi. Che genere di percorso hai dovuto affrontare per raggiungere questi risultati?
Ho creduto fino in fondo alle mie idee, e fatta tanta fatica per realizzarle. Tutto ciò che ho compiuto fin ora non l’ho fatto per vincere determinati premi ma per giungere alla soddisfazione artistica personale – ovviamente sono molto contento che i miei sforzi siano stati premiati dalla critica. La passione che nutro per la musica va al di là di perfezionare le abilità virtuosistiche sullo strumento e scavalca le barriere culturali tra diversi generi musicali; nel famoso aforisma di «senza musica la vita sarebbe un errore» sostituirei la parola “musica” con “arte”, perché penso che l’artista – nel mio caso nelle vesti di musicista – abbia il compito di accendere le coscienze, e non “accarezzarle” solamente con l’intrattenimento.
Il mio percorso non è stato particolarmente chiaro e facile fin dall’inizio, poiché sappiamo che il clarinetto non è uno strumento così popolare nel jazz di oggi come il piano, il sassofono o la tromba. Difatti ho studiato clarinetto in un contesto classico per poi passare gradualmente al jazz.
La scelta di approfondire il clarinetto basso mi ha aperto la possibilità di fare una nuova esperienza musicale in Olanda, e proprio ad Amsterdam ho potuto sviluppare al meglio la mia identità artistica entrando in contatto con musicisti internazionali; così sono capitate diverse situazioni di arricchimento e crescita musicale.
Nonostante la tua giovane età hai già due progetti da leader in distribuzione e fai parte anche di altri ensemble in veste di sideman. Quanta importanza hanno avuto nella tua crescita artistica gli ultimi progetti discografici realizzati?
Il mio ultimo lavoro discografico da leader, Liquid Identities, ha avuto una certa valenza poiché è il primo disco in cui presento solo brani originali, mostrando un distacco estetico con il mio primo disco From Another Planet, dedicato a Eric Dolphy. Liquid Identities rientra nella contemporaneità, ovvero nell’evoluzione di un linguaggio così complesso che viene chiamato (ancora oggi) jazz.
Detto ciò, non do meno importanza al mio primo progetto discografico poiché mette più in luce la relazione col passato e i riferimenti di uno strumento raramente approfondito – il clarinetto basso.
Gli ultimi progetti discografici attualmente pubblicati in cui sono presente nelle vesti di sideman o co-leader sono Il Labirinto dei Topi di Francesca Remigi (Archipelagos), This Is in Everything We Do di Aviv Noam 4et e Introspection di Fade in Trio. Il primo ha avuto molto rilievo poiché si tratta di un gruppo internazionale costituitosi a Bruxelles, per il quale Francesca Remigi ha scritto una serie di composizioni impegnative che mi conferiscono un ruolo importante nelle vesti di interprete e improvvisatore/solista. Oltretutto l’album rappresenta un debutto discografico coi fiocchi per la batterista bergamasca e ne sono molto grato.
Segnalo la presenza di quattro mie composizioni nell’album sopracitato This Is in Everything We Do poiché testimoniano la mia attività di compositore al di fuori di Liquid Identities, insieme all’EP di Fade in Trio, Introspection. Quest’ultimo lavoro mi vede nelle vesti di co-leader assieme agli altri membri del trio: Pietro Elia Barcellona al contrabbasso e Marco Luparia alla batteria.
Tra i premi ottenuti nel 2020 anche il tuo “From another Planet” album edito dalla Emme Record Label, inserito nei migliori 100 Album Jazz dalla Rivista Jazz It. Un progetto innovativo che dimostra la tua grande conoscenza per la tradizione. Quanto la tua musica è condizionata dalle grandi figure del Jazz statunitense (l’album è un tributo a Eric Dolphy) e quanto i nuovi linguaggi del Jazz europeo?
In generale la musica che scrivo e suono oggi è influenza da tutte le mie conoscenze, esperienze e interessi sviluppati fin ora, includendo molteplici generi tra cui “bebop”, “hard-bop”, “free-jazz”, “creative music”, musica “non idiomatica”, musica barocca, classica, contemporanea, africana e indiana. Senza ombra di dubbio la musica di From Another Planet ricalca determinate sonorità presenti negli anni ’60 a New York di derivazione “post bop”/“hard-bop”; si pensi non solo alla musica di Dolphy ma anche a quella di Andrew Hilll, Bobby Hutcherson, Jackie Maclean, Joe Henderson, Booker Little, Sam Rivers, Ornette Coleman…
E’ noto che Eric Dolphy studiò musica classica (a differenza di molti suoi colleghi) e sviluppò un particolare interesse verso la musica di Debussy, Ravel, Webern – non a caso il primo movimento della suite Jim Crow è aperto da un tema dodecafonico – e Edgard Varèse, arrivando a suonare la composizione Density 21.5 per flauto solo. Un altro elemento che testimonia quanto Dolphy fosse interessato alla musica d’origine europea è il brano Gazzelloni, contenente intervalli melodici ed elementi formali inconsueti e innovativi rispetto alla tradizione della musica afroamericana. Lo stesso brano costituisce un omaggio al celebre flautista italiano Severino Gazzelloni, grande interprete soprattutto di musica classica (e non solo).
Come Dolphy cerco di essere il più ricettivo possibile e includere nella mia musica svariate influenze. I frutti di questo processo sono ben visibili nel mio ultimo lavoro discografico Liquid Identities.
Per concludere cosa ti aspetti da questo anno e che progetti hai che bollono in pentola?
Mi aspetto che il nuovo anno porti lentamente ad una ripartenza degli spettacoli dal vivo. Credo che sia per i musicisti che per gli spettatori l’inattività non potrà continuare per molto. Spero grazie al Premio Nuova Generazione Jazz promossa da I-Jazz di far conoscere il mio sestetto The Dolphians in tutta la penisola e perché no, anche all’estero. Inoltre, probabilmente il mio quintetto olandese Liquid Identities si esibirà finalmente in Italia, ma ancora non posso annunciarlo ufficialmente.
Una importantissima notizia è l’uscita della mia prima produzione indipendente: Urlo d’Ebano. Si tratta di un album registrato in solo durante la seconda ondata pandemica, sovra-incidendo clarinetti su clarinetti fino ad arrivare ad eseguire composizioni originali scritte per settimino. L’album uscirà venerdì 26 febbraio solamente in formato digitale su tutte le piattaforme. Per più informazioni e aggiornamenti vi invito a visitare il mio sito web (federicocalcagno.com).
Aggiungo anche che quest’anno usciranno altri due album in cui ho avuto il piacere di partecipare come sideman nei progetti di Adrian Moncada 6et e Jort Terwijn Onder, entrambi attivi ad Amsterdam.
Nella Playlist alcuni tra i brani citati da Federico durante l’intervista. Buon Ascolto